Treno regionale, discretamente affollato. Un amabile signore, che avrà sorpassato abbondamente la settantina, si siede accanto a me. Dopo qualche minuto mi guarda, sorride e dice: “Mi scusi, posso disturbarla un istante?”
Ricambio il sorriso e, certo necessiti di qualche informazione, mi metto a disposizione.
“Certo, mi dica pure.”
“Secondo lei, perché in italiano hanno tradotto con suonare e recitare la parola giocare?”
Il mio sorriso diventa ancora più grande.
“Bella domanda! Non sono un linguista, in realtà non saprei. Per via del mio lavoro ho a che fare spesso con questi vocaboli, e ammetto che mi piace mantenerne il significato originale: giocare.”
Lui mi guarda per qualche secondo.
“Bravo.”
Poi sospira,guarda un piccolo libricino di appunti che tiene tra le mani e sussurra: “Io non ho mai usato neanche la parola lavorare. Sempre giocare. Chi non gioca ha perso la passione e la voglia di divertirsi. Io continuerò a giocare qualsiasi cosa farò, fino all’ultimo dei miei giorni. E nessuno mi leverà mai il sorriso. Mi scusi se l’ho disturbata. Buona giornata.”
Continua a leggere il suo libricino per qualche minuto. Poi si alza, mi sorride di nuovo, prende le sue cose e si avvicina alla porta.
Non so come ti chiami, ma spero di essere come te, prima o poi.
Ciao, amabile signore.